Ercole Scalesciani, patron incontrastato della cucina borghigiana

Anche la nascita della Festa del Borgo si allontana nel tempo. Sembrava una cosa dell’altro ieri. Ed invece sono già passati 27 anni da quell’estate in cui la borgata decise di avventurarsi in una storia che a volte, a ripensarci, appare incredibile.

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Riflettendoci bene potremmo anche azzardare che- in quell’estate del 1979- il Borgo in fondo celebrava se stesso, proprio nel momento in cui la sua storia più forte, più spontanea e più dura, più povera, stava per finire: in quegli anni la comunità borghigiana iniziava “a rompere le righe”, a disgregarsi, a superare e abbandonare quello stato di necessità che l’aveva tenuta unita (e segregata) per generazioni e generazioni. Ma, allora, circolavano altre idee. Anzi, si puntava sulla continuità. La storia popolare e proletaria, che lì era stata vissuta ed interpretata in maniera galvanizzante, appariva un prologo perfetto per una trasformazione politica e sociale su vasta scala. Se altrove si guardava alla Fiat, con il suo esercito di operai in lotta, qui a Rimini a catalizzare le aspettative dei ‘contestatori’ c’era il Borgo rosso ed anarchico: la sua leggenda infiammava i cuori delle varie schiere di militanti (eravamo tutto sommato ancora – se pur per poco- negli agguerriti anni Settanta!).

Le cose fortunatamente presero un’altra piega, più tranquilla. Prevalse il buon senso, ovunque. E anche la nostra Festa fu in fondo, a partire soprattutto dalla sua prima edizione, una grande iniziativa di “riconciliazione”: il Borgo si riconciliava con la Città (in passato vista come spavaldamente ricca e sopraffattrice), quella posta oltre il ponte di Tiberio.

ln quel magico settembre del ’79 i rimininesi attraversarono il ponte ed abbracciarono, non solo metaforicamente, la gente del Borgo. Chi interpretò con grande slancio (ma gli altri non furono da meno) questa inconsapevole ‘riappacificazione’ fu proprio Ercole Scalesciani che, alla guida degli improvvisati stand gastronomici aveva a fianco, quasi come aiutante personale, il ‘cittadino’ Gianni Mandolesi: un personaggio amabile (putroppo prematuramente scomparso), allora conosciutissimo nella città come simpatico e strampalato intrattenitore, e come esponente di una gioventù decisamente di destra. Assieme, Ercole alto e Gianni più piccolo e rotondo, sembravano, nel loro agitarsi tra le piazzette e le stradine di San Giuliano, una riedizione borghiagiana di Don Chisciotte e Sancio Panza.

Ercole Scalesciani

Ma Ercole, nel nostro giro, è conosciuto ed apprezzato anche per un’ altra caratteristica; anzi, per un “primato”: lui è forse (diciamo forse perché la cosa è tutta da verificare) l’unico borghigiano che abbia vissuto e partecipato, da protagonista attivo, a tutte le Feste del Borgo. Assieme al Leone, precisa lo stesso Ercole. Ben quindici!

In quella prima edizione aveva organizzato un fumoso, fastoso e festoso stand del pesce in piazza Padella. Dentro un piccolo rettangolo di tavolacci (l’anno dopo lo stesso stand riprodusse e’diavulein, una piccola e famosa batena di pescatori, tra un tripudio di reti e attrezzi marinari) Ercole guidava la sua troupe (oggi si direbbe staff), difendendola dal pacifico assalto della gente accorsa alla festa. Ma anche altri erano i suoi impegni: aveva la responsabilità generale dell’approvvigionamento gastronomico di tutti gli stand. Un compito, quest’ultimo, che in seguito passò a Marcello e, ultimamente, alla Miriam, che a sua volta si avvale dell ‘esperienza del nostro personaggio. La famiglia Scalesciani, di tradizioni marinare, nel dopoguerra a Rimini è sinonimo di validi idraulici: suo padre, Lino, aprì una bottega artigiana che diventò nel tempo una vera scuola per giovani idraulici (Nano, Giovann i, Si lva no, Erio … ). Anche Ercole divenne un apprezzato idraulico, tanto da insegnare la materia presso il Centro Zavatta dell’Enaip per ben 35 anni.

Ma il suo grande hobby è stata, ed è tuttora, la cucina, marinara, ben s’intende. Sulla scia di una tradizione borghigiana che vedeva gli uomini impegnati da sempre nella cottura del pesce. ‘”Ho imparato a cucinare sulla barca da pesca di mio padre. la Raffaella. che nel tempo libero era il ritrovo di tanti borghigiani appassionati di mare: Zigher, Pipoun, il Leone, Alfio, mio zio Colombo, Schipa, Loffa, Capucci … Dopo aver pescato, a bordo della Raffaella pulivamo il pesce e lo cucinavamo, e in particolare si faceva il brodetto o il risotto … a volte la rustida, in particolare sulla banchina del porto. Questa mia passione l’ho esercitata, logicamente, anche nel Borgo, soprattutto fra gli amici del cosiddetto Clubino, nel cortile di casa Bianchi, che per alcuni anni fu sede della Società de’ Borg”. Questo suo ruolo lo poneva spesso e volentieii al centro di un giro di amicizie e di serate. Un uomo di poche parole, ma di molti fatti, e di altrettanta generosità.

Grazie a questa sua disponibilità le sue frequentazioni andavano ben oltre il Borgo.Basta ricordare il suo forte legame con e’ Nin (Elio Pasquini), con Giorgio Stambazzi, Gianni Mandolesi e .. . Lucio Battisti. Sì, proprio lui, l’ impareggiabile cantautore. Tutti stregati dalla sua cucina, e dal suo senso dell’amicizia, al tempo stesso discreta e coinvolgente.