Quando la scuola Decio Raggi entrò in guerra

Il racconto di Dino Spadoni – Foi de Borg – aprile 2008, p.8

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La scuola Decio Raggi venne inaugurata con la… mia terza. Frequentavo, appunto, la terza elementare quando nel 1939 l’anno scolastico l’ho vissuto nella nuova sede, imponente, moderna ed austera. C’era un abisso con il vecchio e cadente edificio scolastico: il Cortilone del prete, la nostra “alma mater”. Lì il riscaldamento – si fa per dire – era garantito da vecchie stufe di terracotta, in ambienti pieni di spifferi. La nostra grande meraviglia fu quella di trovarci di fronte ai termosifoni (visti per la prima volta!), aule e corridoi immensi, pavimenti in linoleum, bagni spaziosi e ben tenuti. E poi la palestra, con i suoi attrezzi…Anche i docenti erano diversi!

Alla Decio Raggi prevalevano i maestri, obbligatoriamente in camicia nera, in un clima progressivamente sempre più militaresco: Torquato Travigini – il mio insegnante – lo ricordo come persona bassa e tarchiata, “un barilotto”, aveva partecipato alla prima guerra mondiale fra gli Arditi, e nel suo stipetto, come i colleghi, aveva in dotazione l’elmetto da pompiere, l’accetta e la maschera anti-gas.

Nessuno di loro, logicamente, era tenero. Allora l’insegnamento era improntato ad una forte rigidità. Un giorno, uno dei fratelli Carpi, prima che arrivasse il maestro si era introdotto per gioco in quello stipetto, rinchiudendosi all’interno. Entrò all’improvviso Travagini e, come al solito, procedette all’appello. Con gli occhiali spessi da miope, a fondo di bottiglia. Il nostro amico, tutto impaurito, era rimasto immobile dentro il suo rifugio. E quando arrivò al nome di Carpi… nessuno rispose, mentre noi, dispettosi, tutti insieme, in silenzio, puntammo il dito verso lo stipetto! Il maestro, capita l’antifona, si diresse verso l’armadietto, lo aprì etirò fuori il malcapitato riempiendolo di botte!

Me a ne so dì sl’era brev, us racunteva tot i dé dal batai cl’aveva fat a Caporetto”.

Portava ancora i segni delle bruciature al viso, provocate dai gas durante la guerra di trincea.

Anche gli altri maestri usavano metodi analoghi: ad esempio, a Mario Sancisi ui amenca ancora un ciof ad cavel, frutto di un intervento punitivo da parte del suo insegnante; altri docenti, invece,si accontentavano di piccole corvé, come quando a turno due ragazzi dovevano andare a vangare l’orto del maestro nel quartiere Fiorani…

Non sempre, però i maestri potevano fare quello che volevano: dovevano stare attenti… i nostri genitori si mettevano d’accordo e mandavano le mamme a protestare. Gli uomini avrebbero potuto compromettersi. E le donne non erano da meno… come quella volta che Fasuloun venne schiaffeggiato dal suo maestro(e per carità di patria tralascio il nome) e andò a lamentarsi a casa, provocando la reazione delle sorelle Sita e Rosina (la moglie di Ciarin). Le due battagliere borghigiane si recarono subito alla Decio Raggi, presero il maestro e lo sbatterono sulla scrivania!

L’apoteosi della Decio Raggi la vivemmo, però, il 10 giugno del 1940, con la dichiarazione di guerra dell’Italia: tutti in grande parata,in fila, vestiti da Balilla, con in testa i maestri in camicia e stivaloni neri, fummo portati a far festa in città. Di quel giorno ricordo gli applausi, i cori, i canti, le grida…Io ero fra i pochi a cui mancava la divisa da piccolo fascista, e me ne lamentavo con mio padre… che allora mi diede questa risposta:“Cosa vuoi che ti serva quella divisa, quando fra un po’ ne dovrai fareun’altra!” Ero bambino, non potevo capire quell’allusione politica, né conoscevo l’impegno antifascista di mio padre, infatti gli risposi:“Babbo, ma se me la fate io non la rompo!