La prima festa, nel ricordo di noi tutti, è un evento indimenticabile e quasi irripetibile: come quando la realtà è più bella del sogno, e questo capita raramente. Quella volta, otrettutto, la soddisfazione dei borghigiani aveva il valore di una piccola grande rivalsa nei confronti della città: quel borgo tosi diffamato, il borgo della «merda e delle puttane» aveva realizzato qualcosa che stupiva tutti i riminesi. A dir la verità, stupiti eravamo anche noi, organizzatori di qualcosa che travalicava intendimenti e aspettative.
Quella volta, per quella prima edizione, che poteva essere anche l’unica, più che un tema c’era un filo conduttore: «le feste di una volta», intendendo con ciò non solo gli avvenimenti spettacolari tradizionali, ma tutta una serie di episodi e vicende della storia cittadina e borghigiana che nella dimensione della memoria assumevano un effetto assolutamente fantastico.
Vennero rivissuti e rielaborati alcuni modi di far festa del passato: le luminarie durante le processioni, coni ceri alle finestre, le tavolate per strada, i cantastorie e le orchestrine improvvisate, la «canta», i piccoli circhi nelle piazzette, le zucche svuotate, intagliate e illuminate…
Ma anche alcuni fatti della storia cittadina, che nel ricordo collettivo erano già mitici e favolosi, diventarono pretesti per spettacolazioni durante quella prima edizione: il passaggio del carro della Dora con la sua nuova «quindicina», le Mille Miglia come veglia collettiva per celebrare ed assistere al passaggio di un mondo nuovo; il ritorno dopo l’ultimo conflitto degli sfollati come nascita ad una nuova vita, i fantasmi della guerra esorcizzati che sfumavano in lontananza, laggiù nel parco Marecchia… e poi l’indimenticabile Mario «Нombre», nella parte di Cicogna che nottetempo attraversava il borgo per annunciare i fatti della giornata e le condizioni del tempo.
Inoltre, la struttura urbana del Borgo acquistò una dimensione completamente nuova: non più case fatiscenti o diroccate illuminate crudelmente dalla piatta luce artificiale, ma sotto l’effetto dei lumini, del lancio di piume e di neve finta, le sue case diventavano paesaggio da favola e da presepe. È da allora, forse, che la città incominciò a guardare con particolare interesse alle casette lungo il fiume nelle strade borghigiane.
Le cose da ricordare sarebbero tante: la mostra fotografica che per la prima volta a Rimini «pubblicava» la storia – per immagini – di un recente passato popolare; la gente che si ritrovava dopo tanti anni in questa occasione; le case aperte a ricevere non solo gli amici ma chiunque si fermasse, per un bicchiere di vino ed una fetta di ciambella; la corale borghigiana tanto sgangherata quanto carica di vitalità…
L’ immagine che più mi è rimasta dentro è, però, quella dell’incendio delle porte del Borgo. Tutti gli ingressi delle sue strade erano stati sbarrati con dei portali di carta, che vennero incendiati ad un segnale prestabilito, per dare il via alla festa e per aprire il quartiere alla città: dal Ponte di Tiberio scese verso noi la Banda comunale trascinandosi dietro i riminesi. Ed allora i borghigiani diedero sfogo alla loro commozione abbracciandosi.
In quel momento, insieme alle sottili pareti di carta che bruciavano, saltò ogni diaframma con la città, in un reciproco riconoscimento.
Mario Pasquinelli